Lacan non si accontenta di quello che era stato detto prima di lui sull’amore e su quell’amore in gioco nell’esperienza analitica che è il transfert. Egli introduce, nel Seminario VIII, il piano della mancanza sia dal lato dell’amante, il che non contraddiceva la doxa vigente, sia dal lato dell’amato, che invece la contraddice. Il registro dell’avere è escluso per ambedue, il primo dà ciò che non ha, il secondo non sa ciò che ha, ciò per cui è amato. Il primo non sa quello che gli manca, il secondo non sa quello che ha. Lacan, per la prima volta, connette l’amore al sapere, a ciò che dai due lati dell’amore non si sa: dall’avere, che alimenta l’idea dello scambio amoroso possibile, si passa all’essere sotto forma del sapere: cosa l’uno è per l’altro, non si sa.
E Lacan dice che l’amore e la supposizione di sapere coincidono, colui cui suppongo il sapere, l’amo. Ma si tratta di un sapere che fa segno, non è un sapere compiuto in una significazione precisa, è la promessa di una significazione, supposta.
L’amore per l’inconscio, che è sinonimo dell’amore di transfert, secondo Lacan, è riconoscimento di ciò che fa segno, enigmatico, dell’incidenza di qualcosa, di un sapere che sfugge a chi lo contiene, come l’agalma socratico, che chi ne è depositario non sa. Quale migliore definizione dell’inconscio, un sapere che è in noi ma che è più di noi, che dice più di quello che diciamo, altro e di più?
In un mondo dove comanda l’imperativo di godimento, a è allo zenith, l’amore è in controtendenza rispetto alla spinta al godimento e all’avere, avere sempre di più: esso infatti reintroduce la mancanza e la valorizzazione del non avere, nella forma del “non si sa cosa” si ha o l’altro ha, e che implica dunque l’essere. L’amore rieduca alla mancanza, reinstaura la virtù allusiva che gli appartiene rispetto invece al godimento imperante, che è più dell’ordine della certezza.
Il transfert opera quella connessione tra mancanza e sapere che mobilizza questo registro inedito dell’amore: si dà ciò che non si ha già per il fatto di impegnarsi in un legame che fa perno su quel sembiante d’oggetto che è l’analista, per stabilire con il proprio inconscio quel rapporto in cui l’amore orienta tutto ciò che può emergerne come sapere. Il sapere non è mai senza l’amore, in psicoanalisi.
L’amore per l’inconscio, cosa vuole, allora, dire? Poiché l’inconscio ha uno statuto non ontologico, ma etico, esso esiste solo se ci siamo noi, in virtù della nostra presenza, dopo quella di Freud, ovvero di qualcuno che, per la prima volta, ha voluto che esistesse, e che ha voluto andare a capirci, “a ritrovarcisi”. Se occorre il desiderio dell’analista per far esistere l’inconscio, occorre anche che il sapere supposto che gli appartiene diventi sapere tramite l’amore, come dice Jacques-Alain Miller[2]. E’ ciò che si lega alla valorizzazione dei particolari, dei minimi dettagli. Far parlare il segno nella parola, nel racconto, nei sogni, nei lapsus. Come l’infimo segno dell’inconscio fa cambiare il senso di ciò che prima ci appariva in un modo e ora in un altro, a partire da un nonnulla. E’ tale l’artificio dell’amore di transfert che fa parlare nell’Altro l’amore del soggetto per il proprio sapere inconscio, che è in lui senza che lui lo abbia.
L’amore per l’inconscio residuale all’esperienza è rapporto alla supposizione di sapere non più rispetto al proprio inconscio, ma, più propriamente, rapporto alla supposizione nel suo legame alla causa analitica. Amore per la causa che non si liquida a fine analisi, che vi sopravvive, e perdura al di là.
In un mondo dove a comanda, la psicoanalisi offre la possibilità di reintrodurre a in un i(a) che, contenendolo, ne reinstauri la potenza allusiva, e consenta di estrarlo, alla fine, dalla caduta di un soggetto supposto sapere, attraverso l’esperienza soggettiva, sempre singolare, di un amore inedito. Laddove, al contrario, tale oggetto, posto allo zenith, vi brilla sinistramente spogliato di ogni supposizione, isolato nella certezza uguale per tutti.
L’amore per l’inconscio lascia il posto, dopo l’esperienza, all’amore per la Scuola, al desiderio per la causa che essa contiene: non “godimento” per la Scuola, infatti, ma amore, desiderio, per essa. E’ l’obiezione feconda della psicoanalisi, con Lacan, all’imperativo di godimento della nostra, così ricca di discordanze, epoca.
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