giovedì 20 febbraio 2014

Attualità della psicoanalisi.Il posto dell'analista nella cura

GRAFO DEL DESIDERIO                                          
di Rosa Elena Manzetti

Quale posto deve occupare l’analista nella cura, per risvegliare l’inconscio che dorme e provocare l’effetto inconscio?
Innanzi tutto la funzione dell’analista nella cura non è quello di un ascolto passivo. Egli è implicato in quello che si svolge nella seduta.
Possiamo dire, seguendo Jacques Lacan, che l’analista dirige la cura, ma non dirige assolutamente il paziente. Dirige appunto la cura, e lo fa stabilendo la regola dell’associazione libera, che si attua nel libero parlare del parlante che incontra.
Dalla posizione che occupa l’analista dipenderà il sorgere o meno dei significanti del desiderio inconscio.
Per occupare l’opportuna posizione che permette di accogliere la domanda di un soggetto sofferente senza precipitarsi a rispondere, non basta una qualche obbedienza, o disobbedienza, dogmatica ai precetti teorici di Freud o di Lacan. Occupare la posizione che permette di risvegliare nel soggetto l’inconscio che dorme non è infatti una questione di conoscenza, ma piuttosto di sapere inconscio e di etica. Nell’impresa che una analisi è, chi occupa la posizione di analista paga di persona. Paga in parole, quelle delle interpretazioni, e paga prestando la sua persona come supporto ai fenomeni singolari che si mettono in atto nel transfert, sapendo che non è alla sua persona, lui o lei come soggetto, che si rivolge ciò che domanda un soggetto parlante. Una domanda d’analisi, come ogni domanda d’amore, è sempre rivolta, al di là del simile che ciascuno di noi è, a un Altro ideale. E’ importante che sia chiaro a chi svolge funzione di psicoanalista, che, per poter accogliere i soggetti che ci si rivolgono, deve poter mettere il suo io tra parentesi.
La posizione dell’analista implica che, chi si presta a tale funzione, abbia portato il suo lavoro di analisi personale fino al punto di riconoscere che il discorso del paziente non si rivolge al suo io, a lui come simile quindi, anche se può sembrare così.
E’ infatti proprio perché la domanda di ciascun soggetto si rivolge, sempre, a un Altro ideale, che se non la si chiude con una risposta apparente e affrettata, si apre la possibilità dell’emersione dei significanti della storia del soggetto.
La struttura della relazione analitica è perciò in relazione con la costituzione del soggetto inconscio. Riconoscere questo, ci aiuta a capire perché l’intervento dell’analista, per essere efficace, debba provenire da una posizione di Altro come luogo di una mancanza.
Al cuore dell’esperienza analitica c’è il riconoscimento che la completezza non esiste e soprattutto che non esiste un Altro che possa fornire l’oggetto impossibile della domanda del soggetto.
Questa mancanza è indispensabile affinché un parlante si realizzi come soggetto della propria storia e dei propri atti. Per lo stesso motivo questa mancanza è condizione indispensabile alla realizzazione di ogni entrata nell’esperienza analitica.
Siccome non è dalla parte di chi viene a domandare un’analisi che ci si può aspettare il riconoscimento e l’importanza di tale mancanza, allora sarà dalla parte di chi si mette nella posizione di analista che la mancanza dovrà essere determinante. Questo significa che per funzionare come analista si dovrà aver trovato il modo, nella propria analisi personale, di poter resistere alla tentazione sia di mettersi nella posizione del maestro che pretende di insegnare come saper fare con l’inconscio, sia di mascherare la vertigine della mancanza da cui è attraversato.

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