lunedì 24 marzo 2014

"Il transfert nel XXI secolo: quando il reale preme"

ROMA, 29 MARZO 2014 - ORE 10.00


Evento di presentazione alla città del XII Convegno nazionale della Slp

Céline Menghi intervista Felice Cimatti e Antonio Di Ciaccia

"Lo psicoanalista, il poeta, lo scrittore, il filosofo, l’artista dialogano
tra loro, potremmo dire in un transfert reciproco. Sappiamo quanto Jacques
Lacan abbia fatto riferimento all’arte, alla scrittura, alla filosofia -
Aristotele, Platone, Hegel, Kojève, Heidegger,  solo per citarne qualcuno -,
amandoli e criticandoli e quanti filosofi andassero a sentirlo al suo
Seminario, da Jean Wahl a Jean Hyppolite e molti altri, e come egli
considerasse Socrate uno psicoanalista ante litteram. Oggi, mentre il “reale
senza legge” - così lo chiama Jacques-Alain Miller - preme più che mai,
assistiamo alla montata di un certo transfert nei confronti della psicoanalisi
da parte di chi è meno attirato dalle valutazioni, dai numeri, dalle soluzioni
prefabbricate, dagli “ismi”, dalle restaurazioni del Padre, ed è invece ancora
disposto a lasciarsi interrogare da ciò che fa enigma o disturba e non trova
risposte nel funzionamento, ma nell’invenzione singolare che fa perno su ciò
che non funziona, sul reale che riguarda ciascun essere parlante in un modo
unico e singolare.
Quando Jean Beaufret chiede ad Heidegger “Comment redonner un sens au mot
‘Humanisme’“, il filosofo della Foresta nera gli risponde che “...già da molto
tempo si diffida degli ‘ismi’. Ma il mercato dell’opinione pubblica ne pretende
sempre di nuovi....” e più avanti: “Quando il pensiero, ritirandosi dal suo
elemento, volge alla propria fine, sostituisce questa perdita procurandosi un
valore come τέχνη”.
Sentiremo come fanno gli psicoanalisti e come fanno i filosofi di fronte a
questo reale senza legge, quando sembra che ciò che si ritira è il valore dato
alla parola del soggetto dell’inconscio e si fa sempre più chiaro - e la
clinica ne è il terribile banco di prova - che la τέχνη, con la sua pretesa di
arginarlo questo reale, evoca quelle dighe costruite sulla base di falsi
carotaggi e la riduzione al silenzio di chi ha qualcosa da dire".

Céline Menghi


Presso la sede dell'Ordine degli Psicologi del Lazio,
Via del Conservatorio 91, Roma

Cordiali saluti,
Maria Rita Conrado
(per la segreteria romana della Slp)

mercoledì 12 marzo 2014

Resoconto dell’attività di Cartel sui casi clinici (2011-2012)

Il lavoro del cartel sui casi clinici ha rappresentato una prima esperienza di lavoro in piccolo gruppo, tra quattro persone, chi iscritta alla formazione permanente, chi alla scuola del Laboratorio per la specializzazione, chi già appartenente all’Associazione Lacaniana in Italia. Oggetto comune è stato il desiderio di lavorare insieme le questioni che la clinica sottopone costantemente ad uno psicanalista, trovando come strumenti utili la teoria lacaniana e i colleghi stessi come interlocutori a cui pensare di trasmettere le difficoltà e le riflessioni di un fare analitico, con l’ipotesi che far uscire il discorso dalla relazione duale di cura, dalla sua dinamica fatta di ascolto – risonanza – produzione, possa contribuire a far sorgere nuovi saperi e a consolidare quei saperi utili per essere trasmessi ad una comunità più allargata. Un modo dunque, di tenere conto della clinica, di farla contare per chi più prossimo alla parola ascoltata e chi più lontano ma incuriosito ed interessato.

di Michela Marino
 
Il lavoro del cartel sui casi clinici ha rappresentato una prima esperienza di lavoro in piccolo gruppo, tra quattro persone, chi iscritta alla formazione permanente, chi alla scuola del Laboratorio per la specializzazione, chi già appartenente all’Associazione Lacaniana in Italia. Oggetto comune è stato il desiderio di lavorare insieme le questioni che la clinica sottopone costantemente ad uno psicanalista, trovando come strumenti utili la teoria lacaniana e i colleghi stessi come interlocutori a cui pensare di trasmettere le difficoltà e le riflessioni di un fare analitico, con l’ipotesi che far uscire il discorso dalla relazione duale di cura, dalla sua dinamica fatta di ascoltorisonanzaproduzione, possa contribuire a far sorgere nuovi saperi e a consolidare quei saperi utili per essere trasmessi ad una comunità più allargata. Un modo dunque, di tenere conto della clinica, di farla contare per chi più prossimo alla parola ascoltata e chi più lontano ma incuriosito ed interessato.
L’oggetto di lavoro è di per sé qualche cosa di molto complesso, dire di lavorare su uno o più casi clinici è dire qualche cosa di difficile definizione. Per noi è stato un po’ come dire: lavorare sui discorsi, sulla grammatica che sostiene ogni soggetto, che sostiene il linguaggio inconscio che al meglio esprime la soggettività di ognuno. Interessarsi a tale grammatica ha voluto dire interessarsi ai rapporti tra godimento e desiderio, ai rapporti tra i tre registri, quello del reale del simbolico e dell’immaginario, nonché alla struttura soggettiva nel suo rapporto al significante.
Un caso clinico in psicanalisi può essere tutto ciò e anche la relazione stessa con un clinico, con la persona a cui s’indirizzano le proprie difficoltà che si suppongono poter essere lette da chi ha a che fare con la Kliniké, l’arte medica in origine greca e con ciò che è appunto Klinicòs, derivato di klìne ossia letto, da intendersi sia come il posto dove si sdraiava il malato ma anche come il participio passato del verbo leggere. Dunque, si potrebbe dire che ciò che fa caso-clinico è innanzi tutto la parola che mette in rapporto chi la produce e chi l’ascolta e la legge ad alta voce. Da qui tutta la complessità del renderla fruibile per altri ancora.
Con le parole di J.-J. Tysler tratte dal testo Le mie sere con Lacan[1], si può dire che: “ciò che fa caso nella vita psichica è un vero incontro[2]e si può immaginare come possa essere complesso “rendere disponibile per la comunità scientifica, per gli altri praticanti, un incontro transferale[3].
Questo è ciò che si è provato a fare quest’anno attraverso questo cartel: rendere fruibile qualche cosa di questi incontri a coloro che non sono nell’incontro ma che possono incontrare la parola di chi c’è stato. Al fine d’interrogare questioni, riflessioni e un metodo di cura.
Il caso trattato quest’anno ha aperto una serie di questioni e riflessioni teoriche trasversali a molti incontri clinici, dove ad esempio la parola sintomo ha subito preso un suo ampio spazio mettendo subito in gioco un modo più comune d’intendere il sintomo ed un altro più analitico. Scrive Lacan del sintomo ne La Terza[4]:“Chiamo sintomo ciò che viene dal reale. Il senso del sintomo è il reale, il reale in quanto si mette di traverso per impedire che le cose vadano avanti, nel senso di rendere conto di se stesse in modo soddisfacente[5]”. Questo reale che si mette di traverso ad impedire che le cose vadano avanti, è spesso quel reale per il quale nasce un incontro clinico e che può aprire la possibilità a far sorgere una domanda attraverso la quale dipanare i suoi rapporti con il registro simbolico e immaginario sui quali si è sostenuto ciò che Lacan nel suo primo seminario (1953-54) ha chiamato: “…un sintomo privilegiato all’interno del soggetto. E’il sintomo umano per eccellenza, la malattia mentale dell’uomo[6]riferendosi all’Io.
Dunque sintomo come irruzione del reale e poi sintomo per parlare di quel particolare che va a connotare un discorso specifico di ogni soggetto. Come se il sintomo fosse anche l’insieme, la modalità attorno a cui si struttura un discorso che produce un certo godimento. Come se la questione potesse essere posta nei seguenti termini: c’è qualche cosa esclusiva di un soggetto che lo “tratteggia” nella sua soggettività e che va a costruire la sua struttura discorsiva il godimento della quale diventa sintomatico.
Tutto ciò, non è assolutamente chiaro e da mettere a lavoro, probabilmente anche in rapporto al seminario che l’Associazione ha pensato per il prossimo anno.

Parlando sui casi, un’altra parola emersa è stata quella di transfertche a sua volta apre la questione della direzione della cura, facendo pensare particolarmente a differenziare un discorso psicotico con un discorso nevrotico. Ultimamente ci si confronta con strutture che con sempre maggiore difficoltà si possono mettere o da un lato o dall’altro, sembra piuttosto che ci siano dei discorsi che impongono di fermarsi, di sentire tutta la loro aderenza alla lettera, tutta la loro difficoltà a questionare, con varie smarginature. Discorsi dove l’irruzione di un immaginario a cielo aperto è sicuramente ridotta, spesso assente, ma dove si avverte la presenza di un discorso in cui la rappresentazione simbolica è difficile da far procedere e dunque anche la messa in discussione di un suo legame con l’immaginario e della costituzione del fantasma.
Ci siamo chieste cosa “trasferisce” un paziente e cosa un analista attraverso la direzione della cura, particolarmente in questi casi “di bordo” tra le strutture ormai definite. Casi che ci stanno interessando attualmente.

[1] Fanelli C., Jerkov J., Sainte Fare Garnot D., (a cura di), Le mie sere con Lacan, Editori Internazionali Riuniti, Roma 2012
[2] Ibidem, pag 161
[3] Ibidem
[4] J. Lacan, La Terza, 1 Novembre 1974 in occasione del VII Convegno dell’Ecole Freudienne de Paris, traduzione di Roberto Cavasola
[5] Ibidem, pag 19-20.
[6] A cura di Giacomo Contri, J. Lacan, Gli scritti tecnici di Freud, Einaudi, Torino 1978
 
(Pubblicato il 17/09/2012 © Copyright Lacanlab.it)

Quale futuro per la clinica delle superifici?

Questo testo è tratto da una recente pubblicazione a cui hanno contribuito numerosi colleghi dell’Ass.Lacanienne Internazionale, "La navigation astronomiques, avec Marcel Czermak" (Paris 2011). La traduzione è di Gabriela Alarcon

di Jean-Jacques Tyszler
 
Già alcuni anni orsono, durante la nostra specializzazione in psichiatria, Marcel Czermak ci ha proposto, assieme ad alcuni giovani colleghi, di attingere dagli archivi di de Clérambault il materiale per scrivere tesi e resoconti.
In effetti, nei sotterranei del CPOA, luogo di urgenze psichiatriche presso l’Ospedale Sainte-Anne ben noto ai parigini, erano disponibili per la consultazioni migliaia di certificati. Questi lavori, riguardanti l’automatismo mentale, le psicosi passionali, l’erotomania in particolare, sono stati purtroppo pubblicati solo per biblioteche universitarie e per pochi amici specializzati nella materia.
È sicuramente un peccato che l’insieme dei certificati raccolti non sia stato diffuso, al di là delle analisi sull’elaborazione della dottrina stessa.
Questo lavoro di archiviazione, durato a mia memoria oltre un anno, venne svolto in condizioni assolutamente artigianali giacché il supporto del computer non era servito praticamente a nulla.
Bisogna anche dire che molte delle teorie cliniche formulate del maestro dell’Infermeria restano ancora da scoprire, per esempio nel campo delle psicosi tossiche.
Perché Marcel Czermak ci aveva guidati verso questa ricerca? È ben nota la celebre citazione di Lacan riguardo Clérambault come “il suo unico maestro in psichiatria”. Lacan parla molto di Clérambault nel suo celebre seminario sulle “Strutture freudiane delle psicosi”e ci ritornerà fino al “sinthome”, chiedendosi come quest’ultimo avesse potuto mantenere una simile relazione con la voce allucinatoria.
Ma noi riteniamo che ciò che guidava Marcel Czermak era innanzitutto l’idea che si era fatto a partire da Clérambault di una clinica delle superfici per le psicosi.
Clérambault è stato anche quel fotografo assolutamente incredibile del drappeggio arabo e di altri indumenti; le fotografie che talvolta sono state esposte sono sorprendenti per la loro stessa composizione strutturale: una fessura, un buco che è il punto di osservazione, va ad organizzare il tessuto che lo circonda.
Si è potuto dire di Clérambault che è stato un formidabile clinico dello sguardo, ed è probabile che tutti i suoi lavori clinici ci apparissero strutturali in quanto derivanti da una concezione dello spazio nel quale evolve il paziente psicotico.
Il fenomeno, che la voce del commento dell’eco del pensiero preceda il malato in ogni luogo costringe già ad una forma di riflessione paradossale sullo spazio e sul tempo nei quali siamo noi stessi immersi, stando a questo alienista esigente quando segue alla lettera il discorso dei suoi pazienti.
In questo senso, per chi desiderasse leggerlo, Clérambault non è solo colui che suggerisce a Lacan le idee sulla paranoia o sull’erotomania schreberiana; non è solo, anche se è stato fondamentale, colui che ha avviato una certo approccio all’oggetto, in particolare la voce e lo sguardo, tutto quello che Lacan approfondirà con il nome di oggetto a. È anche colui che dà il via a una topologia, una clinica delle superfici, come abbiamo detto.
Tutti conoscono i lavori che Marcel Czermak ha potuto svolgere nel campo delle psicosi. È notevole che sia stato guidato dalla stessa intuizione: naturalmente ci ricordiamo quando ha ripreso il famoso delirio di negazione o sindrome di Cotard, il cui spunto era scaturito da un caso che avevamo seguito all’epoca nel reparto Pinel dell’Ospedale Henri-Rouselle di Sainte-Anne.
La significazione psicanalitica di questa straordinaria negazione venuta dal reale ha richiesto a Marcel Czermak di passare attraverso la topologia della sfera e della a-sfera. Parecchi lavori sono scaturiti da questa attualizzazione di un incrocio sorprendente tra la melancolia e la paranoia, da cui la tesi del nostro collega Jorge Cacho.
Il passo successivo sarà, e questo è stato precursore, tutta la questione sull’identità sessuale e sul transessualismo. Rimandiamo a due opere pubblicate su questo argomento, che non hanno avuto sicuramente l’eco che avrebbero meritato.
Anche in questo caso rimane da leggere tutta una clinica delle superfici e l’interpretazione che Marcel Czermak ha dato sul delirio di involucro, e che noi ci siamo permessi di riprendere come godimento di involucro.
Seguiranno molti altri articoli sulla pulsione, l’immagine, il nome e l’oggetto; e ogni volta sarebbe possibile cercare ausilio negli strumenti topologici che Lacan ha lasciato.
Ci sarebbe per esempio molto da dire sulla bottiglia di Klein e l’automatismo mentale.
Come per Clérambault la ricchezza descrittiva di una clinica delle superfici relativa alle psicosi appare immensa.
Il problema che noi potremmo porci, e che non è affatto di facile soluzione, è la relazione esistente tra questa topologia e questa nuova scrittura che proporrà Lacan in occasione del suo commento su Joyce nel Sinthome.
Ai limiti di struttura descritti accuratamente dalla topologia delle superfici sembra seguire una interrogazione sulle supplenze pur tuttavia in opera.
Come spiegare che alla despecificazione delle pulsioni possono rispondere forme di “sublimazione psicotica”?. È la scommessa di Lacan sul passaggio da una clinica del taglio a una clinica dell’annodamento.
Non possiamo rispondere a questo proposito al posto di Marcel Czermak; semplicemente facciamo notare che il suo famoso articolo “L’uomo dalle parole imposte”prende già in considerazione la triplicità con la quale lavora Lacan negli ultimi anni.
Quale futuro quindi per una clinica delle superfici? Sembra giunto il momento per i colleghi della nostra associazione di interrogarsi sulla questione che si trovano ad affrontare per quanto riguarda la clinica e il transfer delle psicosi, e questo soprattutto in ragione del fatto che la psichiatria che hanno conosciuto non esiste più.
 
(Pubblicato il 09/11/2011 © Copyright Lacanlab.it)

Intervista sul tema del congresso « Un reale nel XXI secolo »


5 MINUTI ALLA RADIO

Pierre-Gilles Guéguen


realizzata da Anaëlle Lebovits-Quenehen

Anaëlle Lebovits-Quenehen : Che cosa vi suggerisce il titolo?

Pierre-Gilles Guéguen : « Un reale per il XXI secolo ». Non è il reale dei giornalisti – tutti i giornalisti parlano del reale come se esistesse, subito pronto da consumare, fuori di noi. E' un reale per la psicoanalisi. Il reale della psicoanalisi – Lacan ha impiegato un certo tempo per specificarlo - non è la realtà. La psicoanalisi cerca di afferrare il reale di ciascuno, immerso nel proprio secolo, così come il suo inconscio glielo manifesta, gli permette di coglierlo.

A. L.-Q. : Ciò che gli permette di afferrarlo, a partire dal suo inconscio, non è anche ciò che allo stesso tempo lo allontana?

P.-G. G. : Si, proprio così. Bisogna prima di tutto fare lo sforzo di provare a sapere ciò che linconscio può aiutarvi a trovare - poiché per definizione, è inconscio. Bisogna dunque superare le barriere della rimozione, le difese che ciascuno si è costruito contro la ferita che il reale costituisce, quando veniamo al mondo o nel corso di eventi traumatici. Bisogna darsi da fare per esplorare linconscio e farne il giro È difficile e per questo ci vuole tempo. Alla fine si spera che il soggetto avrà la cartografia del suo programma fantasmatico, del suo fantasma. Noi parliamo qui del fantasma inconscio, non dei piccoli fantasmi di ciascuno – sia che vengano dispiegati nellanalisi o che vengano esposti su internet. È un prodotto del lavoro analitico, della ricerca di ciascuno sul divano. È per questa ragione che Lacan ha detto che il fantasma è per ciascuno la finestra sul reale.

A. L.-Q. : Si tratta dunque di un fantasma differente per ciascuno. Come si passa da questo fantasma, una volta che si è costruito nel corso della cura, al reale?

P.-G. G. : Ci sono state più ipotesi successive di Lacan in merito, le prime non escludono le altre. Nel periodo più classico di Lacan, lidea dominante era che si potesse attraversare questo fantasma, avere uno scorcio sul suo al di là, sull' al di là delle identificazioni che hanno permesso di mettere in luce la natura del fantasma. Al di là del fantasma si trova allora il reale.

Poi Lacan si è accorto che questo non dipendeva tanto dall'illuminazione della traversata eraclitea- che un tempo costituiva la dottrina del fantasma - ma piuttosto di qualcosa su cui si inciampava e che non si risolveva nemmeno attraverso il sapere acquisito sul fantasma. Il reale si trova al di là del sapere sul fantasma e resiste attraverso delle difese. E sono queste difese, nellanalisi di oggi, che si dovranno trattare, smontare, disfare e di cui bisognerà poter conoscere il tenore.

Queste difese, questi fantasmi, questi sintomi che si presentano, sono sintomi della nostra epoca. Non abbiamo gli stessi sintomi del XIX secolo! Perché non abbiamo lo stesso rapporto con la comunicazione, con leconomia, ecc... Noi abbiamo dei sintomi e dei fantasmi del XXI secolo. E questo torsolo di reale di cui non possiamo parlare e che non possiamo che circoscrivere, accostare, di cui possiamo solo afferrare la maniera in cui si tesse nel fantasma, è il reale del XXI secolo.

A. L.-Q. : Bisogna dunque considerare due cose insieme: al tempo stesso il reale è ciò che cè di più singolare e inoltre non si manifesta nella stessa maniera a seconda dellepoca in cui viviamo.

P.-G. G. : Lacan ha dato una formula che trovo molto bella ed estremamente eloquente, nel Seminario ou pire, dicendo che si poteva considerare che il reale si può individuare come ciò che fa beanza nel dire(1) . Il reale non si può dire. Lo possiamo circoscrivere, ma cè un buco. I contorni del buco, sono questi che cambiano da unepoca allaltra e non il reale, che resta questa specie di buco nero attorno al quale gira unanalisi.

A. L.-Q. : Non è il reale che cambia, questo Un reale – anche quello della psicoanalisi - ma piuttosto le risposte che si apportano, il modo in cui si tratta in una civiltà, in un tempo e in un luogo dato.

P.-G. G. : Si, cè una formula di Jacques- Alain Miller che amo molto: il sintomo è una risposta del reale. Questa formula indica che il reale è lo stesso, ma che il modo di rispondere di ciascuno non è lo stesso nelle diverse epoche.

A. L.-Q.: Non è forse un paradosso considerare, contemporaneamente, sia che ciascuno risponde in modo del tutto singolare al reale in questione sia che, in una civiltà, ritroviamo dei punti comuni nel modo in cui gli essere parlanti rispondono al reale che gli appartiene?

P.-G. G.: È un paradosso apparente: è indubbio che ci sia uno spirito dellepoca, ma resta del tutto vero e immodificabile, credo, che ciascuno viene toccato in maniera diversa dai significanti dellepoca. Ciò che ha fatto trauma per un parlessere non fa affatto trauma per un altro. Si vede molto bene nelle grandi catastrofi: alcuni soggetti sono completamente devastati da questi eventi, mentre altri non lo sono affatto .

È per questo che lanalisi oggi, secondo lultimo Lacan, fa molto più posto alla contingenza che non a una certa forma di causalità. Ci sono degli eventi che toccano il corpo senza che ci siano state necessariamente delle persone intenzionalmente responsabili della loro produzione. È molto importante rivedere questo aspetto, in particolare nella prospettiva del trattamento psicoanalitico dellautismo o delle psicosi: non si può considerare in modo sistematico che ci sia una causalità psichica tra il modo in cui un bambino è stato educato dai suoi genitori e lo stato nel quale può trovarsi. Bisogna dunque ammettere che si tratta di contingenza, che non si sa che cosa lo abbia potuto produrre - per lo meno prima che il soggetto stesso possa riferire in merito.


A. L.-Q. : Non possiamo ugualmente considerare che ciò che è prelevato dallepoca, riguardo al reale, è ciò che cè di meno singolare?

P.-G. G. : In effetti. Ma bisogna passare dal linguaggio, che è quello di unepoca. Posso anche credere che la lettura delle Preziose riesca a impressionare profondamente una donna dei nostri tempi ma, nonostante tutto, ci sarà senza dubbio ben altra cosa che la colpirà e con la quale costituirà i suoi sintomi - verosimilmente, per esempio, i discorsi femministi, di Gender o altri, che sono discorsi correnti.

Lanalisi sbuccia tutto ciò, permette di disfare tutte le identificazioni che appartengono al secolo e di trovare ciò che cè di più singolare nellaccozzaglia dei significanti che il soggetto ha scelto per costituire i suoi sintomi.

A. L.-Q. : E dunque questa difesa contro il reale.

P.-G. G. : Ecco. Il reale si può rappresentare come un piccolo tondo contornato dalla difesa del fantasma, contornato a sua volta dalla difesa costituita dai sintomi. Questi si presentano sotto le diverse forme che Freud aveva già evocato: si mantiene la stessa logica, anche se non si mantengono i significanti del XIX secolo per parlare, per esempio, della sua isteria ai giorni nostri. Però listeria è sempre là, così come tante altre manifestazioni la cui struttura resta la stessa, anche se i fenomeni cambiano. Perché il fenomeno è legato allepoca.

A. L.-Q. : La ringrazio, Pierre-Gilles Guéguen.




Trascrizione ed edizione : Alice Delarue

Traduzione: Monica Vacca

  1. Lacan J., Le Séminaire, livre XIX, ...ou pire (1971-1972), Paris, Seuil, 2011, p. 131.