lunedì 30 dicembre 2013

Proposte d'interven​to alla Giornata clinica del Congresso AMP

Cari Colleghi,
mancano ancora sei giorni alla data limite per presentare delle proposte d'intervento alla Giornata clinica di mercoledì 16 aprile 2014 del Congresso AMP di Parigi. Entro domenica 5 gennaio 2014 scadrà infatti la proroga  per l'invio delle proposte d'intervento. Invito i colleghi che ancora non l'avessero fatto ma che ne avrebbero il desiderio di concretizzare questo loro intento in questi ultimi giorni a disposizione. La questione del reale nella clinica del XXI secolo attende anche il nostro contributo italiano. Per potersi informare sugli assi tematici e le caratteristiche della la proposta da presentare e per inviarla basta entrare nel sito del Congresso dell'AMP, www.congresamp2014.com, presente anche in italiano, e cliccare la voce GIORNATA CLINICA. Invito tutti a visitare il sito che è molto ricco nei contenuti, e molto semplice e chiaro nella consultazione.
 
Un cordiale saluto e un augurio di Buon 2014
 
Il Presidente della SLP
Domenico Cosenza

venerdì 20 dicembre 2013

La depressione nel mondo



di Marco Focchi


Per chi pensa che la depressione sia un sottoprodotto dell’insipido materialismo occidentale, un recente studio, condotto da alcuni ricercatori del Queensland, potrebbe risultare sorprendente. La depressione semplicemente non è di gusti tanto difficili, e quando si tratta di disturbi depressivi, in alcune zone del Nord Africa e del Medio Oriente se ne soffre più che nel Nord America e nell'Europa occidentale .
Secondo i ricercatori, che hanno raccolto i dati disponibili sulle diagnosi cliniche fino al 2010, in Algeria, Libia, Siria e Afghanistan, le cose sono andate peggio per via del numero complessivo di anni in cui i cittadini di questi paesi hanno vissuto con il peso della depressione. Per i paesi del Medio Oriente occorre comunque considerare che si tratta di dati raccolti prima che le primavere arabe trasformassero completamente la vita delle persone.
Il Giappone ha avuto i punteggi migliori, insieme all'Australia e alla Nuova Zelanda. I ricercatori hanno tuttavia circoscritto le aspettative sui risultati de loro lavoro, riconoscendo che i dati sono limitati ad alcune parti del mondo. Curiosamente, il Regno Unito e gli Stati Uniti – paesi in cui l’attenzione sulla malattia mentale e le riflessioni culturali sulla depressione sono in rapida ascesa – sembrano essere molto meno colpiti dal male di alcune parti dell'Africa e dell'Europa orientale.
La seconda interessante analisi dei dati concerne l’età.

Il grafico riguardante la suddivisione per sesso non contiene sorprese: il numero di donne che sembra soffrire del disturbo è circa il doppio di quello degli uomini, e questo rispecchia i risultati di alcuni dei più importanti studi sull’incidenza della depressione.
L'analisi in base all’età mostra invece in che misura la depressione stia diventando un problema che colpisce persone ancora giovani. Le persone di età compresa tra i venti e i ventiquattro anni sono le più colpite, seguite dalla generazione immediatamente successiva. Quando si arriva a considerare i cinquantenni, età in cui cominciano a farsi strada le domande esistenziali, le percentuali diminuiscono. Sopra i sessanta, rallentano piuttosto bruscamente. Può essere rassicurante invecchiare, dopo tutto.
La depressione sta dunque crescendo? Lo si potrebbe pensare stando alla proliferazione di segnalazioni e di analisi sulla malattia. I ricercatori tuttavia dicono sì e no: la depressione è la malattia al secondo posto come incidenza sociale: ne soffre circa una persona su venti. Le cose stanno peggiorando, dicono, però potrebbe dipendere dai dati demografici.
"L’incidenza è aumentata del 37,5% tra il 1990 e il 2010, ma questo è dovuto alla crescita della popolazione e all'invecchiamento", dicono. "Contrariamente a quanto afferma la recente letteratura sull'argomento, i nostri risultati suggeriscono che l'epidemiologia, sia del disturbo depressivo maggiore sia della distimia (depressione più lieve), è rimasta relativamente stabile nel tempo."

lunedì 25 novembre 2013

Femminicidio

Il 17 maggio 2013 alla Casa Internazionale delle Donne si è tenuto un incontro sul FEMMINICIDIO per un confronto tra rappresentanti istituzionali, giuriste, psicoanalisti e operatori del sociale.
Oggi, 25 novembre 2013, Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, abbiamo deciso di pubblicare il primo dei tre Ebook che raccoglie gli interventi, con l'auspicio che chi opera per contrastare la violenza di genere riesca a fare rete ed agire in maniera congiunta sulle cause sociali e culturali del femminicidio. 
 
FEMMINICIDIO - Il femminile impossibile da sopportare - Volume 1
 
Per scaricare l'Ebook clicca qui

venerdì 22 novembre 2013

Psichiatria Democratica

Da  anni  il modello bio-medico risulta dominante e questo accade nonostante le scarsissime evidenze sia sul versante etiologico che psicofarmacologico. Questo modello si propone come pensiero unico e indiscutibile ed opera nei fatti come tabula rasa degli altri approcci; prevale così, anche al di là delle singole intenzioni, un approccio oggettivante e meccanicistico alla malattia mentale, rispetto al paradigma della complessità.
 
 

mercoledì 20 novembre 2013

Siamo tutti disinseriti (Pierre-Gilles Guèguen)

Nella fase classica del suo insegnamento, Lacan ha mostrato come il linguaggio produca sempre malintesi. Proprio per questo motivo è necessario continuare a parlare, dato che il senso fugge e non esiste comunicazione senza resto. [Vai all'articolo]
 
 

venerdì 15 novembre 2013

Il giro d'Italia degli "Altri scritti"

Gli Altri scritti raccolgono una serie di testi scritti di pugno da Lacan. Essi fanno seguito agli Scritti che furono pubblicati in Francia nel 1966 e decretarono la vera e propria entrata in scena di questo straordinario pensatore della Cosa psicoanalitica. I testi qui raccolti da Jacques-Alain Miller continuano l'irradiazione di questo insegnamento.
Negli Scritti l'accento era posto sul «come» funziona l'inconscio tramite il suo operatore, ossia il significante. Ed era sintetizzato nell'aforisma «l'inconscio è strutturato come un linguaggio». Negli Altri scritti l'accento si sposta sul nucleo che è il cuore pulsante dell'inconscio: il godimento. Si potrebbe sintetizzare questo nuovo punto di prospettiva in un aforisma mai pronunciato da Lacan: «l'inconscio è un apparato di godimento».
Godimento che, se è tale per l'inconscio, spesso non lo è per la persona che lo patisce nel sintomo. La quale tuttavia può ritrovarlo nelle diverse sfaccettature che fanno la gioia e la risorsa di quello che Lacan chiama il «parlessere».



                                                                                                                                                                     Antonio Di Ciaccia

Appuntamento a MILANO
 

mercoledì 13 novembre 2013

Il trattamento psicoeducativo dei detenuti


Il trattamento terapeutico o rieducativo (non sono la stessa cosa) dei detenuti che hanno commesso crimini violenti, evidenzia peculiari criticità e necessita di approfondite considerazioni. La questione non riguarda solo le tecniche e i metodi di trattamento dei soggetti, il tema comprende anche le scelte ideologiche e culturali della politica e include una forte assunzione di responsabilità rispetto alle indigenti condizioni di vita della popolazione carceraria e alle conseguenze del reintegro in società del recluso. Rispetto a questo tema, propongo un breve spunto di riflessione maturato nel corso di un più ampio studio svolto all'istituto FDE di Mantova sul trattamento dei soggetti in condizione detentiva.
Dal punto di vista del benessere psicologico dei detenuti è interessante leggere la ricerca scientifica condotta dalla psichiatra Seena Fazel e dall'epidemiologo John Danesh del 2002, pubblicata sulla rivista medica inglese "The Lancet",  che conferma come sia in crescente aumento il problema della salute mentale nelle istituzioni carcerarie e dove il carcere appare quindi con tutta evidenza un contenitore in grado di concentrare disturbi mentali.
Gli autori hanno preso in esame 62 diverse indagini psichiatriche, condotte sia prima che dopo il 1990 nelle prigioni di molti paesi occidentali, in tutto 22790 detenuti. Hanno rilevato che nel 65% dei casi gli uomini manifestano un disturbo di personalità e di questi il 47% ha diagnosi di disturbo antisociale, mentre le donne soffrono di disturbi di personalità per il 42% e hanno una diagnosi per disturbo antisociale con frequenza del 21%.
Per non allargare troppo la riflessione sul problema delle condizioni di salute della popolazione carceraria, prendiamo in considerazione selettivamente il programma che propone il trattamento dei soggetti cosiddetti antisociali. Verifichiamo sperimentalmente, leggendo i risultati delle esperienze più recenti di trattamento, anche a livello internazionale, le basse percentuali di successo misurate sulle statistiche che esprimono la percentuale di reiterazione del reato.
Questa categoria clinica viene classificata da G. O. Gabbard come la più approfonditamente studiata tra quelle che rientrano nel disturbo di personalità. Leggiamo che nella situazione terapeutica questi pazienti possono mentire, ingannare, rubare, minacciare e mettere in atto qualsiasi altro comportamento irresponsabile. Definiti come psicopatici, sociopatici, affetti da disturbi del carattere, termini che, in psichiatria, sono stati tradizionalmente associati all’incurabilità. Qualcuno si spinge ad affermare che tali pazienti dovrebbero essere considerati criminali e non essere inclusi nell’ambito della psichiatria.
Solo questo potrebbe bastare per farci desistere dall’idea di tentare ancora una volta una cura dove verosimilmente hanno fallito specialisti e terapeuti molto preparati e con grande esperienza. Per chi ha avuto modo di conoscere dal vivo questi individui non può non aver provato una netta sensazione di impotenza, paura e rabbia, forte repulsione e bisogno di tenere sempre molto alta la guardia. Tuttavia l’esperienza clinica suggerisce che l’etichetta di antisociale è applicata a un ampio spettro di pazienti, da quelli totalmente incurabili a quelli che sono curabili ma solo in determinate condizioni.
Questa situazione provoca in tutti gli operatori della salute mentale e tra i criminologi un forte senso di smarrimento che però, beninteso, non è sufficiente a produrre un arresto del desiderio di comprendere e non smarrisce la volontà di raggiungere un miglioramento delle condizioni di benessere nei penitenziari e tra la popolazione in reinserimento carcerario.
Forse dobbiamo interrogarci anche sul fatto che i criteri diagnostici per il disturbo antisociale riflettono aspetti del comportamento che come sottolinea anche Gabbard, restringono il punto focale del disturbo a una popolazione criminale connessa con ceti sociali inferiori, oppressi e economicamente svantaggiati. Fotografia della larga maggioranza di soggetti che ritroviamo all’interno delle carceri di tutto il mondo.
La possibilità di recupero appare concretamente molto difficile, soprattutto per il fatto che i soggetti da trattare rivelano strutture di personalità estremamente rigide e inattaccabili. 
In questo potrebbe entrare in gioco l’azione concreta della psicoanalisi che come diceva Jacques Lacan si inserisce nell'ordine duro della razionalizzazione estrema dei soggetti e porta al rifiuto di ogni discernimento conducendo in prigione un gran numero di soggetti psicotici. L’atto del soggetto criminale è infatti determinato da una forza di carattere costrittivo e di questa azione criminale il soggetto deve certamente rispondere. Se è giusto che ne risponda e di come deve rispondere non sta a noi psicologi deciderlo. Ma dove subiscono un arresto le discipline che provano a cambiare la performance del soggetto, la teoria psicoanalitica si fa avanti per cercare chi ha ceduto alla propria costrizione. La psicoanalisi può quindi certamente comprendere le dinamiche individuali, come espresso da Alain Miller è la sola che abbia un'esperienza dialettica del soggetto; lo psicoanalista sa essere oggetto, non volere niente a priori per il bene dell’altro, essere senza pregiudizi quanto al buon utilizzo che può essere fatto di lui. La psicoanalisi racconta dell’individuo nella sua unicità, e come dice Francesca Biagi-Chai ritrova la singolarità del soggetto, per quanto dissociata, oggettivata, violenta o crudele essa sia. E il registro delle controindicazioni si decide allora caso per caso.

 

 

sabato 9 novembre 2013

L'aggressività dei nostri figli

Ho deciso di pubblicare questo testo perché negli ultimi giorni mi è ripetutamente accaduto di incontrare persone che hanno espresso una viva preoccupazione riguardo il palese atteggiamento aggressivo dei figli nei loro confronti. Oltre a fornire qualche piccolo consiglio, mi sono espresso indicando la consultazione di uno psicologo. L'aiuto del professionista è in effetti certamente importante per definire con precisione la struttura del problema, al centro del quale si colloca il discorso del rapporto tra genitori e figli. E' necessario soprattutto che lo psicologo riesca a quantificare e a dare un significato alla carica aggressiva che tende a emergere e che il nucleo familiare può essere in grado di tollerare e gestire.
Definire cosa sia e che significato abbia l'aggressività è un compito molto complesso e che forse a priori può apparire insoddisfacente. Per la psicologia si tratta di una "tendenza che può essere presente in ogni comportamento e in ogni fantasia", che riguarda tutti i soggetti e che destina l'individuo a due condizioni esistenziali opposte: la distruzione di se stessi (o degli altri) e l'autoaffermazione.
Il comportamento aggressivo caratterizza molto spesso le interazioni all'interno del nucleo familiare e le persone si sono abituate a percepirne la cruda esposizione attraverso i media, la cui fruizione si colloca certamente in frequenza crescente. Il fenomeno dell'aggressività è sensibilmente mutato nel tempo e la percezione degli individui rispetto al fenomeno, come la loro soglia di tollerabilità, ha subito metamorfosi culturali sulle quali è improbabile trovare livelli di accettabilità condivisi. Anche l'etimologia del termine, dal latino aggredior che significa "cammino in avanti", ha un'importante connotazione in psicologia. Indicherei appunto come importante parametro di valutazione la soglia di tolleranza personale di ciascuno rispetto al problema. Alla quale seguono i temi della giustificazione sociale, della punizione e tutta la tematica psicopedagogica relativa all'educazione e rieducazione dei soggetti a partire dalla nascita...il discorso si allargherebbe troppo.
Tutti noi facciamo uso in modo più o meno esplicito del potenziale aggressivo di cui disponiamo, che con il tempo impariamo a gestire e qualche volta a mettere da parte, per sostituirlo con comportamenti più razionali. L'aggressività può essere modulata e si può esprimere attraverso possibilità molto alte di differenziazione. Risultando quindi largamente accettata, in molte delle sue declinazioni (anche estreme), all'interno dei differenti contesti culturali.
Perché quindi chi esercita la propria funzione di genitore sembra a volte smarrirsi di fronte alla scena di un figlio che esprime qualcosa attraverso un attacco più o meno aggressivo?
Freud e Piaget sostenevano che qualsiasi comportamento semplice non potesse essere compreso se analizzato come evento isolato avulso dalla complessità. La componente parziale, il frammento, a discapito dell'insieme, manca il significato e fa perdere il senso complessivo della struttura. Quindi il sorriso e il pianto di un bambino, così come l'atto aggressivo, possono essere capiti solo affrontando il complesso insieme organizzato di comportamenti che formano le relazioni tra genitori e figli.
A questo proposito è quindi importante che i genitori leggano e rispondano al comportamento dei propri figli considerando il comportamento degli stessi una delle infinite modalità espressive di un messaggio, una sorta di linguaggio non verbale. Riconoscere quell'atteggiamento aggressivo come parte culturale significante di un messaggio che inquieta e proprio per questo deve essere preso e affrontato. Lo stupore che genera ansia e smarrimento è la reazione di chi si vede fuori dal gioco e dalle regole. Essere genitore è buttarsi nella mischia e sporcarsi le mani. 
Curare, con le difficoltà che ogni genitore conosce benissimo, la qualità della relazione. Fare i genitori è un lavoro a tempo pieno che non finisce mai, un impegno personale lungo, costoso, pesante e molto difficile, per definizione e struttura imperfetto. Affrontare con coraggio il compito e ben vengano i consigli e gli interventi che i professionisti offrono per affrontare le situazioni di difficoltà e le impasse delle famiglie. E' una società complessa che ci richiede, oltre al buon senso, anche la profondità di una certa conoscenza personale.

mercoledì 30 ottobre 2013

Il contesto della psicologia (breve excursus)

La psicologia nasce ufficialmente come disciplina sperimentale nel 1860 con la pubblicazione degli Elemente der Psychophysik ad opera di Gustav Theodor Fechner. Un programma decisamente molto ambizioso con il quale, assieme a Weber, cercava il disvelamento di leggi matematiche che spiegassero i rapporti tra le grandezze del mondo fisico e la loro riproduzione mentale. Assimilando così la psicologia alla fisica nel concetto riduttivo che l'uomo è un sistema fisico, pertanto trattabile come fisica o chimica applicata. Secondo questo modello esistono relazioni oggettive e quantificabili tra stimoli fisici e sensazioni psichiche che devono essere scoperte attraverso il linguaggio della matematica, paradigma della scienza per antonomasia. 
Se vogliamo appunto rimanere nell'ambito della scienza, come in effetti è corretto collocare la psicologia, dobbiamo quindi con ogni evidenza sforzarci di considerare i problemi che essa prende in esame come questioni oggettivabili. E in effetti è così che è nata, come ricerca scientifica disinteressata, mossa dal profondo interesse personale del ricercatore verso la conoscenza del funzionamento della mente dell'uomo. La psicologia scientifica nasce quindi per distacco da una tradizionale e antica riflessione presente all'interno della filosofia speculativa.
Deduciamo in questo modo che la psicologia non ha come unico obiettivo la risoluzione dei conflitti che perturbano le funzioni psichiche dell'uomo, piuttosto questa è accompagnata e sostenuta da una ricerca scientifica "pura" che attraverso criteri di sperimentazione e quantificazione trova talvolta una razionale e fruttuosa applicazione nella pratica.
E' possibile allora riassumere schematicamente il discorso della psicologia come costituito, al pari di ciò che avviene in tutte le altre discipline scientifiche, da due percorsi concettuali affiancati e comunicanti: finalità teoriche e finalità operative.
Le finalità teoriche sono perseguite da corpus di studi diversificati, che sono:
-la psicologia generale
-la psicofisica
-la psicologia animale
-la psicologia dell'età evolutiva
-la psicologia sociale
-la psicolinguistica
-la psicopatologia
-la psicologia dinamica
Le finalità operative comprendono tutti gli ambiti operativi all'interno dei quali le teorie psicologiche vengono impiegate:
-la psicologia clinica
-la psicologia del lavoro
-la psicologia dell'educazione
-la psicologia forense
-la psicologia dell'arte
-la psicologia etnica
-la psicologia della massa
-la psicologia politica
-la psicologia militare
-la psicologia dello sport
-la psicologia ambientale
Dopo aver fornito un inquadramento molto generale della disciplina è necessario ritornare sull'argomento dal quale eravamo partiti, cioè la scientificità dei costrutti, per riprendere e specificare una condizione che molti psicologi ritengono importante sottolineare. Ciò che infastidisce infatti coloro che praticano professionalmente la psicologia, mi riferisco evidentemente agli psicologi, è il dubbio che le obiezioni mosse a loro carico dagli scettici abbiano qualche fondamento. La difficoltà principale dello psicologo è infatti quella di riuscire ad esprimere leggi che abbiano una validità e un potere predittivo generale.    
Dobbiamo allora cercare di far comprendere all'uomo che non si occupa di scienza, che il problema vero si colloca nei termini di una sostanziale qualificazione della complessità del sistema in oggetto: l'uomo. Il sistema fisico, se lo si considera da questa angolatura, più complesso dell'universo conosciuto. Risulta quindi necessario moderare certe aspettative.
Senza entrare troppo nel merito delle questioni epistemologiche, che sarebbero molte e molto complesse, ripercorribili eventualmente nello specifico a sostegno di tale impostazione, possiamo accennare alla questione che sarebbe perfino possibile che la mente, in quanto macchina finita, non sia in grado di descrivere se stessa. Principio di indeterminazione, per restare nella fisica. Oppure con Feyerabend che sosteneva che "l'interpretazione di un linguaggio osservativo è determinata dalle teorie che usiamo per spiegare ciò che osserviamo e cambia non appena cambiano quelle teorie".
L'area dei fenomeni ai quali si può applicare il principio deterministico si riduce ogni giorno di più (G.B. Vicario - 1993). 
 
 
 

venerdì 25 ottobre 2013

Una breve riflessione.

Per tutte le persone in crisi di identità, che oggi hanno bisogno di un modello al quale ispirarsi, valga il concetto polanyiano di persona, cioè "un essere che affronta la realtà in modo attivo non automatico, con impegno", anche se a volte preferiamo disimpegnarci, "con passione, coinvolgendo rapporti sociali, affrontando il rischio dell'errore, inventando soluzioni nuove per i problemi che incontra, rimodellando interpretazioni già formulate, saltando discontinuità logiche e dando unità strutturale a insiemi di elementi con una forza operante secondo l'azione di un campo". Insomma siamo fortemente condizionati dalle energie positive e negative che formano il nostro campo gravitazionale (per non dispiacere ai fisici), quindi reagiamo secondo il nostro programma genetico. Così teniamo dentro anche la biologia...
Sembra che per Polanyi il motore di tutto questo si trovi nella "passione". Parola che gli psicoanalisti associano al significante desiderio. Una struttura complessa difficile da definire. Una condizione umana essenziale. L'esempio estremo di deficit di funzione desiderante si riconosce nel subdolo e doloroso discorso dei disturbi autistici.
Per rimanere nell'attualità, per i nostri problemi sociali, dobbiamo ritrovare una passione comune, un desiderio condiviso che ci proietti verso il futuro con nuova energia, con slancio vitale e impegno sincero.